"The impossible exists only until we find a way to make it possible" Mike Horn

mercoledì 14 gennaio 2015

Reportage: Oman, medio oriente in pace

(All rights reserved) Foto di Andrea Sanfilippo.
Il sole sta per tramontare dietro le colline pietrose di Muscat.
Grida di incoraggiamento, di gioia, di sconfitta provengono da uno spazio al di là di un muro. Ci avviciniamo ad un’apertura nella parete di cemento, un omone dal viso nero sbuca dalla grossa fenditura e ci incita ad entrare.
Scavalchiamo e davanti a noi si apre un campo di terreno delimitato da pietre e piccoli ciottoli: è in corso una partita di calcio dove due squadre miste di arabi, nigeriani ed indiani, con le maglie dei loro idoli, si battono per la vittoria, guidati dai rispettivi irruenti allenatori.
Assistiamo all’incontro accanto ad una scarna ma caldissima tifoseria fino a quando il canto del Muezzin inizia a risuonare tra le strade della capitale.
I giocatori si fermano di colpo, come al fischio dell’arbitro che annuncia il termine della partita. Un arabo che, con il suo bambino, ha seguito con noi la partita ci guarda e, sorridendo, ci spiega in un perfetto inglese che è arrivato il momento della preghiera.
Siamo in Oman. Quando la Moschea chiama, anche il calcio, sport molto amato, si ferma.
Ritorniamo anche noi sulla strada principale mentre i calciatori e i loro tifosi si affrettano verso la vicina Moschea. Salgono rapidi le scale, lasciano le scarpe all’esterno e si accingono ad entrare per inginocchiarsi e pregare il loro Dio.
Non possiamo entrare durante la preghiera: non siamo musulmani. Restiamo fuori alla grande struttura, dal cui minareto decorato, grossi altoparlanti diffondono il canto liturgico.
Una cantilena intensa, coinvolgente, persuasiva, che riempie l'aria, i cuori e che ti fa comprendere quanto sia dirompente la forza del loro credo.
Saliamo su un taxi. Il tassista recita a bassa voce qualche verso del Corano. Durante le ore di lavoro – ci spiega – i credenti sono esentati dalla preghiera in Moschea, ma lui come molti partecipa comunque spiritualmente a questi momenti.
Gli Omaniti amano parlare, amano raccontarsi, condividere il loro mondo e conoscere il tuo. L’ospitalità è parte della loro cultura e, con i loro visi aperti, il loro sorriso e la loro affabilità riescono a darne prova in ogni circostanza. Un’ospitalità ed una genuinità che non sono state strappate via dalla forte modernizzazione del paese.
Dopo un passato glorioso ed un periodo di involuzione nei primi del Novecento, l’Oman vive oggi un nuovo momento d’oro. Il Sultano Qabus bin Said che ha governato negli ultimi quarant’anni ha abbandonato la politica restrittiva e conservativa del suo predecessore in favore di una politica intesa ad una maggiore democratizzazione e alla crescita sociale ed economica del sultanato.
Ne parliamo con Stanley, un trentenne originario dell’India, da diversi anni in Oman. Lavora per una organizzatissima agenzia turistica. Appoggiato al fuoristrada aziendale, in camicia leggera e cravatta scura, pronto ad accompagnarci a ritirare la nostra auto, ci racconta di sè, dell’Oman, dei cambiamenti degli ultimi anni, di quanto sia stato fondamentale l’apporto dell’ormai anziano Sultano, profondamente amato dal suo popolo.
Benché l’Oman non sia il più ricco tra i paesi della Penisola Araba, i suoi abitanti godono oggi di un buon tenore di vita, come testimoniano le auto di grossa cilindrata lungo le strade e le gioiellerie sempre affollate, a Muscat come nella piccola città fortificata di Nizwa, famosa per la vendita di oro ed argento.
Attraversiamo con Stanley il quartiere di Ruwi, uno dei più recenti della capitale, che sta progressivamente estendendo i propri confini; qui la crescita economica è percepibile in maniera ancora più sensibile. Grandi ed eleganti palazzi si susseguono l’uno dopo l’altro in questa nuova area residenziale e commerciale.
Apprendiamo che l’economia dell’Oman sta lentamente cambiando. In un paese dagli scarsi giacimenti petroliferi, la pesca in primis così come l’agricoltura, l’allevamento e le attività artigianali hanno sempre rappresentato le principali risorse di questo piccolo sultanato nel fondo della penisola arabica. Ma oggi la politica del paese è nel senso di una sempre maggiore diversificazione che punta alla crescita degli scambi commerciali, anche grazie al libero scambio con gli USA, e alla crescita di un turismo di qualità.
Pulizia, ordine, cura per i dettagli. Fiori e prati all’inglese ovunque: distese di petunie e di manti erbosi non solo nelle vicinanze delle istituzioni o dei luoghi di culto o sul lungomare che si stende in otto chilometri di marmi e mosaici, ma anche lungo le strade che si allontano dalla capitale per addentrarsi poi tra le montagne o discendere lungo la costa.
Cantieri fioriscono ovunque per la creazione di strade, ponti ed infrastrutture che riflettono un gusto che mescola in equilibrio di grande raffinatezza l’architettura tradizionale e i più moderni dettami di linearità ed essenzialità.
La cura che l’amministrazione dedica al proprio territorio riflette perfettamente la via prescelta dal Sultano: rendere l’Oman un paese moderno, vivibile per i sudditi e attraente per il turismo internazionale.
In questo contesto gioca un ruolo importante anche la politica di rafforzamento della tutela ambientale, uno degli aspetti fondamentali di questi ultimi quarant’anni di sultanato. Il Sultano ha sempre sottolineato, infatti, la necessità di proteggere le risorse naturali del paese e ha sempre sostenuto campagne intese ad educare la popolazione ad una maggiore consapevolezza e sensibilità a tematiche ambientali. Si pensi alla delicatezza dell’ecosistema dei deserti dove gli accumuli di spazzatura – che a quelle temperature sono sottoposti ad un processo molto rallentato di decomposizione e smaltimento – rischiano di alterare un equilibrio sensibile anche ai più impercettibili cambiamenti.
La crescita del sultanato, dunque, è anche crescita culturale e sociale, come testimonia tra l’altro anche l’aumento del livello di scolarizzazione e l’accesso – ormai anche da parte delle donne – ai livelli più alti d’istruzione.
Le donne: un tema delicato che inevitabilmente incuriosisce gli occidentali.
Nonostante una presenza ancora forte di donne che, per scelta o per costrizione, indossano il velo integrale, in Oman si registra una significativa differenza rispetto a realtà profondamente conservative come, ad esempio, quelle dell’Arabia Saudita.
Camminando per strada, entrando nelle sartorie dedicate alla moda femminile, percorrendo i vicoli dei suq, ci incontriamo, ci urtiamo, ci scambiamo sguardi carichi di curiosità, il mio viso libero da veli, loro nascoste dietro tulle neri che lasciano intravedere appena lo sguardo. Le donne più conservative appaiono schive, votate ad una naturale riservatezza e diffidenza, come se quel velo nero fosse una barriera tra loro ed il mondo, ma se riesci a dimostrare che ne rispetti la vita e la cultura, se ti mostri affabile e solidale allora lasciano intravedere qualche piccola crepa in quel muro e riesci a strappar loro un sorriso, una parola.
Accanto a questa fetta più tradizionalista, vi è un gran numero di donne che sceglie uno stile di vita più moderno, che non porta il velo o che si limita a coprire i soli capelli. Generalmente si tratta di giovani ragazze che hanno avuto accesso ad un più elevato grado di istruzione, che lavorano, viaggiano e vivono a contatto con culture di ogni tipo. Appaiono più aperte al dialogo, come la collega di Stanley, una ragazza sui trent’anni, gli occhi scuri carichi di brio e vitalità. Vede la patente di guida tedesca, ci racconta del suo viaggio a Berlino, ci chiede di noi, dei nostri programmi. E’ simpatica, socievole e, come molti Omaniti, ha voglia di scambio culturale.
Dai suoi racconti scopriamo che nel piccolo sultanato, le donne godono di libertà ed indipendenza, più di quanto si possa immaginare. Studiano, lavorano, votano, guidano l’auto, amano ballare, escono con le amiche.
Nei tatuaggi e le unghie laccate, negli occhi magistralmente truccati, nei lembi di stoffa dalle tinte vivaci e luccicanti che si intravedono sotto i veli e gli abiti neri, cogli un universo fatto di colori, di vita, di vanità. Certo, questo stona con la forte separazione spaziale che vige nei luoghi pubblici, stona con l’eccessivo senso di “privacy” cui è ancora improntata la vita di molte di loro. Ma quel che si coglie, parlando con la gente del luogo, è che qualcosa stia cambiando; che, ferme le solide radici della cultura tradizionale, la popolazione femminile è orientata ad affermare sempre più i propri diritti costringendo anche i più conservatori a fare i conti con la modernizzazione culturale del paese.
Ma qual è il ruolo dell’Islam in questa terra?
L’Islam è e resta la guida di questo popolo, ne impregna la cultura, ne scandisce la vita quotidiana, con i suoi sacri principi che spingono al rispetto, alla pace, alla giustizia e che trovano traduzione nella profonda ospitalità, nella genuinità e nell’altruismo che contraddistingue gli omaniti.
Benché sia la religione prevalente, in questa regione della penisola arabica, l’Islam convive pacificamente con altre numerose religioni: il cristianesimo, l’induismo, il sikhismo, il buddhismo, il giaismo e via seguitando, che si sono diffuse per la massiccia presenza di stranieri.
Gli immigrati provengono principalmente dall’India come il nostro nuovo amico Stanley, ma nel nostro viaggio incontriamo uomini provenienti anche dal Bangladesh, dal Beluchistan, dal Pakistan e dall’Africa; i più lavorano nella ristorazione o sono impiegati nelle attività manifatturiere.
Ci fermiamo a chiacchierare con alcuni di loro; tutti ci concedono una piccola intervista e, fieri, si lasciano ritrarre in fotografia.
Ci spiegano che la politica del sultanato è nel senso di garantire lavoro ed integrazione agli immigrati e che ciò attira un numero sempre maggiore di stranieri. Benché molti siano meno fortunati del nostro amico Stanley e siano costretti a lavori più umili e faticosi per stipendi più bassi rispetto a quelli degli Omaniti, giudicano comunque buone le loro condizioni di vita.
Molti lasciano le loro famiglie nel paese d’origine, trascorrendo la maggior parte dell’anno in Oman. I più  finiscono col trascorrere quasi tutta la propria vita lontano da moglie e figli; i pochi fortunati riescono a rientrare stabilmente a casa dopo cinque, dieci anni di lavoro e quando incontri uno di loro, vedi il viso distendersi in un sorriso, lo sguardo illuminarsi di gioia, fiducia, di un senso di vittoria.
Omaniti, indiani, Beluchistani, Pakistani, Nigeriani. Popoli diversi, lontani nella cultura, nella religione, nelle tradizioni, ma tutti vicini nel desiderio di conoscersi, capirsi e vivere in armonia.
E così ti ritrovi seduto in un capanno di barasti, adagiato su tappeti e cuscini dalla caratteristica fantasia rossa e nera, il solo sottofondo musicale dello Uit beduino a cullare il silenzio del deserto, mentre bevi thé in compagnia di uomini provenienti da tutto il mondo e ti senti come fossi a casa. 
In un Medio Oriente che sa di pace, di rispetto, di vita.

Per visualizzare il Reportage Fotografico completo realizzato da Andrea Sanfilippo, è possibile visitare il seguente link: "A Tale of Modern Oman".

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